Nuovo e vecchio triduo: una svolta decisiva


 

totcrocecav

Le resistenze alla riforma liturgica, che negli ultimi giorni hanno preso forma pubblica nelle proteste di alcuni cardinali nostalgici, contro i provvedimenti della Segreteria di Stato circa le “messe individuali”, sono molto più profonde e pericolose quando vengono considerate in rapporto agli sviluppi del Triduo Pasquale. Una breve considerazione delle novità che in questo ambito la Chiesa cattolica ha maturato a partire dal 1950 – quindi ben prima del Concilio Vaticano II – devono guidarci in questi giorni di festa e orientare meglio il cammino ecclesiale. Proviamo a ricapitolare per punti che cosa è accaduto in questi 70 anni.

Nella sequenza storica recente del Rito Romano appaiono evidenti alcune verità, che spesso dimentichiamo:

a) Il rito romano nella forma del 1962 (oggi detto straordinario) e quello nella forma del 1969 (detto ordinario) hanno tutti, alla radice, una riforma liturgica precedente: se consideriamo questo “tempo” della Settimana Santa, scopriamo subito che non si tratta della contrapposizione tra una presunta “liturgia di sempre” e una “liturgia riformata”, ma di due stadi progressivi di un complesso percorso di riforma. Poiché tutto questo ambito, che va dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Pasqua, è stato oggetto di una profonda revisione durante il papato di Pio XII e poi è stato riesaminato e ulteriormente modificato dopo il Concilio Vaticano II. In certo modo dobbiamo ammettere che entrambe le forme – tanto quella ordinaria quanto quella straordinaria –  si collocano decisamente e inequivocabilmente “oltre Pio V”.

b) Risulta in modo lampante che la logica della revisione della Settimana Santa, nel 1955, non ha ancora acquisito – né ritualmente né teologicamente – la coscienza della centralità del Triduo: che è Triduo sacro, non Triduo Pasquale. Rimane sullo sfondo la definizione della enciclica Mediator Dei (1947) dove si dice, al n. 158: “nella Settimana Santa, quando la più amara sofferenza di Gesù Cristo viene messa di fronte a noi dalla liturgia, la Chiesa ci invita a salire sul Calvario e a seguire la via crucis del Divino Redentore, per portare la croce con lui, per riprodurre nei nostri cuori il suo spirito di espiazione e per morire con lui”. In questo testo non vi è riferimento al Triduo e la lettura della partecipazione al rito è tutta giocata sul registro dell’actus animae.

c) Anche quando il riferimento al Sacro Triduo viene esplicitato, come nella istituzione del nuovo Ordo del 55, esso appare semplicemente equiparato agli “gli ultimi tre giorni della quaresima” – ossia non costituisce una entità diversa e autonoma rispetto al tempo quaresimale –  ed è costituito dal giovedì, venerdì e sabato santo. Comincia la mattina del giovedì e finisce con i vespri del sabato, lasciando fuori la domenica di Risurrezione.

d) Nel rito del 69, infine, giungiamo ad un ulteriore approfondimento, per noi del tutto decisivo, di questo interessante e sorprendente percorso: il Triduo cambia nome (non viene più definito Sacro Triduo, ma Triduo Pasquale); il cambiamento di nome corrisponde ad un cambiamento di “logica rituale” e di “ermeneutica teologica”. La logica rituale individua il Triduo come “entità autonoma”, come “tempo a sé” e lo fa cominciare con la “Messa in cena domini” del giovedì sera per farlo giungere ai “Vespri della domenica di Pasqua”; questo comporta, sul piano teologico, una vera “rivoluzione”: il triduo non riguarda più semplicemente la passione, o la sepoltura del Signore, ma abbraccia passione morte e resurrezione. La continuità della tradizione passa qui attraverso una forte discontinuità. Essa è necessaria per non perdere il significato unitario della Pasqua, che è “passio” e “transitus”.

e) Ma vi è di più. Questa unità di struttura rituale e di ermeneutica teologica rinnovata rilegge il mistero pasquale, integrando la celebrazione ecclesiale nel mistero stesso. Ogni giorno del Triduo è Pasqua. E la pasqua rituale e pasqua storica, il rito della cena e la morte in croce, si compiono nella Pasqua ecclesiale: come diceva Agostino il transitus Christi si compie e si rinnova nel transitus Christianorum. La comunità celebrante è, da questo punto di vista, parte integrante del mistero celebrato: il triduo celebra la Pasqua di Cristo attualizzata ecclesialmente come perfezione della salvezza e fine della creazione.

Ne deriva che:

– l’Ordo Missae del 1969 è un capolavoro della riforma liturgica, sia come Messale sia come Lezionario. La ricchezza dei testi (biblici e eucologici) e la teologia da essi mediata costituisce una grande ricchezza per la Chiesa postconciliare.

– Le Norme generali dell’anno liturgico propongono una nuova centralità della esperienza iniziatica del mistero pasquale, che va a compiersi nel nuovo Ordo della Iniziazione cristiana degli adulti, altro capolavoro della riforma liturgica.

– la terza edizione tipica del Messale Romano di Paolo VI e il Lezionario sono tesori di inestimabile valore. Insieme al rito di Iniziazione Cristiana degli Adulti, rappresentano il meglio della riforma liturgica generata dal Concilio Vaticano II. Una delle sfide pastorali più urgenti che attende la Chiesa contemporanea è di raggiungere l’ars celebrandi della forma ordinaria allo stesso livello di questi libri.

Credo che coloro che restano convinti che la tradizione “precedente” sia più alta, più seria e più pia potrebbero facilmente restare sorpresi da questa ricostruzione. Credo che la stessa fine della Commissione Ecclesia Dei, con la sua soppressione, sia dovuta precisamente a questa incomprensione: avendo dato autorizzazione di poter usare per il Triduo il rito precedente alla riforma di Pio XII, ha dimostrato di essere totalmente al di fuori del cammino comune ecclesiale, volendo negare tutto ciò che sta “oltre Pio V”. Il cammino di fedeltà, iniziato 70 anni fa,  aveva scoperto le gravi deviazioni che la comprensione del Triduo aveva subito a partire dal Medioevo, imponendo di fatto un “doppio triduo”: uno della passione (giovedì-venerdì-sabato) e uno della resurrezione (domenica-lunedì-martedì), di cui solo il secondo era festivo. Questa deformazione ci riguarda ancora: ha una inerzia storica che ci minaccia e della quale dobbiamo prenderci cura pastorale, teologica e spirituale.  Il recupero della centralità dell’unico triduo pasquale, unità di morte e di risurrezione, della vita di Cristo e della vita della Chiesa, è il vero rimedio alla tentazione di “celebrare da soli”: triduo pasquale ed eucaristia sono infatti legati a filo doppio e si alimentano a vicenda. Non si capisce e non si vive la riforma dell’Ordo Missae se non si entra, con anima e corpo, nella nuova logica del Triduo Pasquale, e viceversa.

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