La legge e la responsabilità individuale


«A livello mondiale, e in particolare nei paesi a basso reddito, i ricercatori premono per realizzare reti sanitarie in grado di farsi carico di varie malattie infettive, come Ebola o tubercolosi. Nel renderci più resilienti a fronte delle malattie endemiche, assicureranno una capacità di risposta più solida a patogeni ancora sconosciuti. La posta è anticipare meglio per confinare meno» [Delphine Rouçaute, «Limites et leçons de la stratégie zéro Covid» Le Monde, 11/2/23, online]. Invece…
«Dato di novità mondiale è l’intreccio sempre più stretto tra poste in gioco geopolitiche classiche – competizione di potenza, ambizioni imperiali, lotta per le risorse, ecc. – e globali, cambiamento climatico, pandemie, digitale. Nel fondamentale Les ambitions inavouèes (Tailander 2023), Thomas Gomart vuol “delimitare lo spazio di manovra possibile per la politica estera francese in un momento in cui deve affrontare scelte difficili» [Marc Semo, «Ce que veulent les grandes puissances», ivi].
E «dopo dieci numeri l’eccellente rivista Sensibilités, edita dal 2016 da Anamosa, rovescia il tema e parla di insensibilità. Non è un contropiede. “Non illudiamoci, avverte l’introduzione, malgrado il prefisso negativo, è affettività anche l’insensibilità, pratica del sensibile come le altre”. Dunque non solo sensibilità zero, ma sua trasformazione, annientamento, parestesia. A forza d’esercizio – come pompieri in cerca della durezza necessaria per efficienza. A forza di spersonalizzazione, che permette a esseri umani di fare senza apparente emozione il massacro della notte di San Bartolomeo», «a conferma dell’alterità ripugnante dei massacrati». «Ma la storica Anne Carol fa un’ipotesi diversa: iniettare “banalità in ciò che è mostruoso” e fare “della violenza ripetuta un lavoro”» [Valentine Faure, «L’envers de la sensibilitè exploré», ivi]. È un mercato ovunque fiorente, marchio più famoso, ma non il più importante, il russo Gruppo Wagner.
Questo caos apparente ha una coerenza interna svelata da Covid-19.
«A dirlo oggi sembra esagerato e anche un po’ incredibile, ma la pandemia che quest’anno ha colpito l’umanità era uno degli eventi più prevedibili della storia. Da sempre i germi competono con l’uomo e per quasi duemila anni hanno spesso messo a dura prova la capacità di sopravvivenza del nostro genere. I successi dell’Igiene, della Medicina e della Sanità Pubblica, a partire dal XIX secolo, li avevano fortemente ridimensionati: l’acqua potabile, le latrine, le fogne prima, i vaccini, gli antibiotici e i farmaci antivirali poi, avevano fatto addirittura dichiarare all’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’inizio degli anni ’80, che la lotta contro le malattie infettive era stata definitivamente vinta. Mai previsione si è rivelata più incauta e inaccurata. Mai l’umanità si è dimostrata più miope» [Walter Ricciardi, «La lezione della pandemia COVID-19: prevenire le malattie, curare tutti», in Testimonianze sul futuro, a cura di Antonio Ballarin Denti, Vita e Pensiero 2022, p. 99].
Per Covid, nel 2003 l’Organizzazione Mondiale della Sanità lanciò il suo primo allarme mondiale. Obama annunciò una rete sanitaria globale, bloccata da Trump. Sono I tempi del potere, scrive Christopher Clark, Regius Professor di Storia a Cambridge: «Il crollo delle aspettative che ha trasformato l’ex impero sovietico non ha lasciato illeso ‘l’Occidente’. Lo spaventoso fallimento dei progetti liberaldemocratici di ‘costruzione della nazione’ nella scia delle guerre dell’Iraq e dell’Afghanistan ha screditato le pretese sia della ‘teoria della pace democratica’ sia della cultura politica che l’aveva alimentata. La crisi finanziaria globale iniziata nel 2007-2008 e quella del debito europeo che vi ha fatto seguito hanno gettato una profonda ombra sulla governance economica ‘neoliberale’ degli Stati capitalisti occidentali. L’aggravarsi delle disuguaglianze sociali e l’iper-concentrazione del nuovo capitale al vertice della piramide del reddito hanno reso più difficile perorare la causa dei progressivi benefici sociali generati dal capitalismo. La promessa che ogni generazione starà meglio di quella che l’ha preceduta non appare più credibile. E allo stesso tempo, nella comunità dei moderni Stati ‘occidentali’ si sono affermati regimi che hanno trovato il modo di utilizzare la democrazia come strumento di governo autoritario, svuotando allo stesso tempo i loro sistemi politici della sostanza liberale. Come si è affermato, qui, come nella Russia postcomunista, la politica si esaurisce in una ‘incessante attività priva di ogni telos’» [tr.it. Laterza 2022, pp. 211-2].
Denaro impazzito, diagnosticò nel 1988 Susan Strange, London School of Economics: «la follia o pazzia di un uomo o di una donna si esprime attraverso un comportamento incostante, imprevedibile e irrazionale, potenzialmente dannoso per sé e per gli altri. Questa descrizione si applica perfettamente al comportamento dei mercati finanziari negli ultimi anni, in cui stati di euforia senza motivo si sono alternati a altri d’altrettanto ingiustificata depressione. Le crisi che li hanno colpiti sono sopraggiunte in modo assolutamente imprevisto e cogliendo di sorpresa la maggior parte degli osservatori. Il loro comportamento è risultato gravemente dannoso per gli altri. La situazione è tale da richiedere urgentemente qualche forma di intervento terapeutico» [p. 3], perché questa “incessante attività priva di ogni telos” divora troppi di noi come polipetti, «tinnirissimi, e i purpi è cosa cognita che sunno strenui combattenti dintra alla panza prima d’essiri sconfitti dalla digestioni» [Andrea Camilleri, Un covo di vipere, Sellerio 2013, p. 50]. Troppi perché siamo troppi, dice qualcuno.
«Spesso sentiamo dire che l’incremento della specie umana, avvantaggiata dalla sua cultura, sia stato eccessivo. Gli attuali 8 miliardi di donne, uomini e bambini sarebbero semplicemente troppi per la Terra. Si può obiettare che nel sistema naturale la nostra presenza fisica è pressoché insignificante. Tutti gli 8 miliardi di persone messe insieme non rappresentano nemmeno un decimillesimo della biomassa terrestre». «Il problema è che noi consumiamo molto più di queste risorse». «Nel momento in cui è minacciata la vita stessa sulla Terra, sta al nostro intelletto reagire» [Stefan Klein, Come cambiamo il mondo, tr.it. Bollati Boringhieri 2022, pp. 219-220]. «Come si stabiliscono la soddisfazione e l’equità in una società che deve andare avanti con risorse limitate? Come di realizza la transizione verso una società simile? Ma soprattutto che cos’è una vita degna per una persona?» [p. 221]. «La creatività non è una dote speciale, ma un modo di vivere. A lei dobbiamo la nostra esistenza. La storia dell’umanità iniziò quando i nostri antenati impararono ad apprendere gli uni dagli altri. Sopravvivevano nella misura in cui i più esperti trasmettevano il loro sapere alle generazioni successive» [ivi, p. 227].
Stiamo penosamente (ri)scoprendo il nesso tra la legge e la responsabilità individuale.
La legge e la responsabilità individuale è il titolo di una conferenza del matematico, e non solo, Jakob Bronowski a Yale, pubblicata nel 1978 da Yale University in The Origins of Knowledge and Imagination [tr.it Le origini della conoscenza e dell’immaginazione, Newton Compton 1980]. «Se vogliamo pace, se vogliamo una qualunque forma di comunità umana, non è perché la scienza l’abbia dimostrata desiderabile, ma perché per noi questo fa parte della stessa visione del mondo che la scienza ci fornisce» [p. 89]. «Perché, vedete, se negli ultimi trecento anni la scienza ha avuto tanto successo nel suo ruolo di lievito sociale, è stato perché essa stessa si è trasformata da pratica individuale (per grande che fosse l’ingegno dei singoli individui) in impresa comunitaria» [p. 91].
«La comunità degli scienziati ha una sua forza speciale». «Se oggi scrivo un articolo scientifico questo arriva in Cina, in Cecoslovacchia, in Sudamerica, a Los Angeles: e in tutti questi posti chiunque lo legga si convince che io scrivo la verità come la vedo io. Nessuno assume che quello che scrivo sia vero: a nessuno di noi è concesso indi sapere che cosa sia vero in quel senso. Ma tutti sanno che io ho scritto quell’articolo sulla base della convenzione (implicita, non scritta, ma presente fra gli scienziati) che ad esso si può credere assolutamente, perché rappresenta quello che credo io». «E questo è il punto assolutamente cruciale: lo scienziato non discute mai il fine ma soltanto i mezzi, cioè i passi successivi mediante i quali si giunge dalla conoscenza di oggi alla conoscenza di domani» [p. 93]. «Non vi è distinzione fra buoni fini e buoni mezzi: si è autorizzati a usare solo mezzi perfettamente onesti. È questo che mette lo scienziato in una posizione di speciale fiducia, e che al tempo stesso è un profondo principio etico» [p. 94].
«La democrazia, come modo di organizzazione dello stato, ha dimostrato di avere successo esattamente nello stesso modo della scienza: perché è costantemente in grado di trasformare se stessa. Ma può farlo soltanto usando gli stessi mezzi, cioè un’assoluta onestà e integrità» [p. 101].
Già nel 1969, in Istruzione e sviluppo [tr.it. il Mulino 2002] lo storico Carlo Maria Cipolla ricordava che «tecniche e valori si influenzano a vicenda. Una società sviluppa oppure no certe tecniche proprio perché dominata da determinati valori culturali. D’altra parte, lo Stato della tecnica ha conseguenze ovvie sul sistema dei valori di una società. Ad ogni modo, i valori prevalenti determinano l’uso cui le tecniche esistenti saranno destinate. Sino all’Ottocento si era convinti che l’educazione non potesse e non dovesse consistere soltanto nella comunicazione di informazioni tecniche. Ci si preoccupava delle tecniche, ma soprattutto ci si preoccupava dei valori». «Se la vita su questo pianeta ebbe inizio e progredì per un lavorio di processi indipendenti da una volontà cosciente, questo non è più il caso in un mondo industrialmente avanzato nel quale l’uomo domina forze sempre più poderose. Nel futuro, la vita su questo pianeta dipenderà sempre più dalla capacità di ‘seguire virtute’ oltre che ‘conoscenza’» [pp. 119-120]. Onestà e integrità, oltre che utilità.
Gli interessi dominanti lo sono fin che lo sono, lo confermano Covid-19 e crisi globale, ma è cosa nota da tempo nel laboratorio Italia dove, sconfitto l’imperatore Federico II, i Comuni «ben presto si accorsero che, nel frattempo, un nuovo nemico forse ancora più pericoloso degli imperatori, era cresciuto al loro interno: le divisioni interne, i conflitti tra le famiglie dominanti alla ricerca di maggiori poteri e maggiori ricchezze, e gli scontri tra le famiglie dominanti, il popolo e i ceti produttivi». «Si tratta di un fenomeno molto diffuso anche ai giorni nostri» [Marco Vitale, Brescia raccontata ai ragazzi, marcoserratarantolaeditore, 2020, p. 55].
Lo è ma, anche quando viene tradita, la democrazia dispone di strumenti di allerta, come l’astensione elettorale, non a caso crescente tra i cittadini europei quando non hanno altro modo di contestare signorie internazionali, nazionali, locali che esaltano e sfruttano, invece di risolverli, i conflitti civili. Gli imperi cinese e russo occupano l’Africa, ricca di giovani e di risorse, mentre ne sono cacciati gli stati-signorie europei che, nella loro intrinseca inconsistenza, lasciano morire in mare o respingono chi vuole anche per sé un futuro europeo in un mondo sempre più diviso e violento. D’altra parte, se ha buone braccia e gambe (moneta e mercato), l’UE ha un solo polmone (Camera dei Deputati) ma due teste (Commissione e Consiglio dei Ministri) che la rendono ondivaga. E i tempi stringono.
«In caso di vittoria repubblicana nelle elezioni presidenziali americane del 2024, non è escluso che la sintonia atlantica sulla crisi ucraina finisca. Gli europei si troveranno allora soli con i loro dispiaceri strategici, mentre gli Stati Uniti si focalizzeranno sul loro confronto con la Cina» [Philippe Ricard e Piotr Smolar. «L’Alliance atlantique à l’épreuve de feu russe», Le Monde, 26-27/02/20223, online]. Tuttavia, Putin e sodali sono reagenti, agenti siamo noi cittadini europei che abbiamo ormai maturato l’idea, il diritto e ora l’interesse a un governo democratico europeo. Democratico, europeo e dell’area euro perché l’economia, come la democrazia e la scienza, è «costantemente in grado di trasformare se stessa. Ma può farlo soltanto usando gli stessi mezzi, cioè un’assoluta onestà e integrità» [Bronowski, cit., p. 101]. Ed economia di mercato non significa che è del mercato, ma che nel mercato ha uno strumento che, usato senza onestà e integrità, distrugge ricchezza e benessere, ma anche noi esseri umani e il mondo che ci fa vivere.
D’altra parte, da sempre onestà e integrità sono anzitutto requisiti personali e sociali. Niente di nuovo sotto il cielo, fin che siamo in grado di vederlo.

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