La catechesi e la Chiesa: pazienti come i vecchi e gioiosi come i fanciulli


Due giorni, due omelie e un discorso: lo stile di papa Francesco


Riporto qui di seguito un discorso e due omelie, del 29 e 30 settembre, il discorso e la prima omelia sono rivolti ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla Catechesi, l’altra omelia parla ai fedeli di S. Marta. Vi troviamo, in sintesi, la forza e la parrhesia di papa Francesco, in forma esortativa e contemplativa, con ironia e con poesia, con una descrizione della evengelizzazione e del mistero della Chiesa carica di profezia.


Dio non ha paura delle periferie” – Discorso del Papa nell’Udienza ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla Catechesi
CITTA’ DEL VATICANO, 27 Settembre 2013 – Discorso tenuto questo pomeriggio da papa Francesco nell’Aula Paolo VI durante l’Udienza ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla Catechesi (26-28 settembre 2013) sul tema: “Il catechista, testimone della fede”. L’evento è promosso e organizzato in occasione dell’Anno della fede.
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Cari catechisti,
sono felice che nell’Anno della fede ci sia questo incontro per voi: la catechesi è un pilastro per l’educazione della fede, e ci vogliono buoni catechisti! Grazie di questo servizio alla Chiesa e nella Chiesa. Anche se a volte può essere difficile, si lavora tanto, ci si impegna e non si vedono i risultati voluti, educare nella fede è bello! Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa! “Essere” catechisti! Badate bene, non ho detto “fare” i catechisti, ma “esserlo”, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. Ed “essere” catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore, necessariamente, parte da Cristo.
Che cosa significa questo ripartire da Cristo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista?
1. Prima di tutto ripartire da Cristo significa avere familiarità con Lui. Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell’Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce. Gesù utilizza l’immagine della vite e dei tralci e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo.
La prima cosa, per un discepolo, è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita! Per me, ad esempio, è molto importante rimanere davanti al Tabernacolo; è uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui.
E questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell’amicizia, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti vuole bene. Capisco che per voi non è così semplice: specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore; e questo si può, è possibile in ogni stato di vita. In questo momento ognuno può domandarsi: come vivo io questo “stare” con Gesù? Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il mio cuore? Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare i cuori degli altri?
2. Il secondo elemento è questo: ripartire da Cristo significa imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’altro. Questa è un’esperienza bella, e un po’ paradossale. Perché? Perché chi mette al centro della propria vita Cristo si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri. Questo è il vero dinamismo dell’amore, questo è il movimento di Dio stesso! Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica… Così diventiamo anche noi se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci fa entrare in questo dinamismo dell’amore. Dove c’è vera vita in Cristo, c’è apertura all’altro, c’è uscita da sé per andare incontro all’altro nel nome di Cristo.
Il cuore del catechista vive sempre questo movimento di “sistole – diastole”: unione con Gesù – incontro con l’altro. Sistole – diastole. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non vive. Riceve in dono il kerigma, e a sua volta lo offre in dono. E’ così nella natura stessa del kerigma: è un dono che genera missione, che spinge sempre oltre se stessi. San Paolo diceva: «L’amore di Cristo ci spinge», ma quel “ci spinge” si può tradurre anche “ci possiede”. E’ così: l’amore ti attira e ti invia, ti prende e ti dona agli altri. In questa tensione si muove il cuore del cristiano, in particolare il cuore del catechista. Chiediamoci tutti: è così che batte il mio cuore di catechista: unione con Gesù e incontro con l’altro? Si alimenta nel rapporto con Lui, ma per portarlo agli altri? Vi dico una cosa: non capisco come un catechista possa rimanere fermo, senza questo movimento.
3. E il terzo elemento sta sempre in questa linea: ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie. Qui mi viene in mente la storia di Giona, una figura davvero interessante, specialmente nei nostri tempi di cambiamenti e di incertezza. Giona è un uomo pio, con una vita tranquilla e ordinata; questo lo porta ad avere i suoi schemi ben chiari e a giudicare tutto e tutti con questi schemi, in modo rigido. Perciò quando il Signore lo chiama e gli dice di andare a predicare a Ninive, la grande città pagana, Giona non se la sente. Ninive è al di fuori dei suoi schemi, è alla periferia del suo mondo. E allora scappa, fugge via, si imbarca su una nave che va lontano. Andate a rileggere il Libro di Giona! E’ breve, ma è una parabola molto istruttiva, specialmente per noi che siamo nella Chiesa.
Che cosa ci insegna? Ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire Dio, perché Dio va sempre oltre, Dio non ha paura delle periferie. Dio è sempre fedele, è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido, ci accoglie, ci viene incontro, ci comprende. Per essere fedeli, per essere creativi, bisogna saper cambiare. Per rimanere con Dio bisogna saper uscire, non aver paura di uscire. Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo finisce per essere una statua da museo; se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile. Vi domando: qualcuno di voi vuole essere codardo, statua da museo o sterile?
Ma attenzione! Gesù non dice: andate, arrangiatevi. No! Gesù dice: Andate, io sono con voi!
Questa è la nostra bellezza e la nostra forza: se noi andiamo, se noi usciamo a portare il suo Vangelo con amore, con vero spirito apostolico, con parresia, Lui cammina con noi, ci precede, ci “primerea” sempre. Ormai avete imparato il senso di questa parola. E questo è fondamentale per noi: Dio sempre ci precede! Quando noi pensiamo di andare lontano, in una estrema periferia, e forse abbiamo un po’ di timore, in realtà Lui è già là: Gesù ci aspetta nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella sua anima senza fede. Gesù è lì, in quel fratello. Lui sempre ci precede.
Cari catechisti, vi dico grazie per quello che fate, ma soprattutto perché ci siete nella Chiesa, nel Popolo di Dio in cammino. Rimaniamo con Cristo, cerchiamo di essere sempre più una cosa sola con Lui; seguiamolo, imitiamolo nel suo movimento d’amore, nel suo andare incontro all’uomo; e usciamo, apriamo le porte, abbiamo l’audacia di tracciare strade nuove per l’annuncio del Vangelo.
Il Signore vi benedica e la Madonna vi accompagni.


Omelia della messa per i catechisti-29 settembre 2013
Il catechista è colui che alimenta e risveglia negli altri “la memoria di Dio”, senza la quale un essere umano – non escluso un cristiano – rischia di svuotarsi e di diventare simile al ricco del Vangelo, incapace che di pensare a se stesso
Cosa succede se un cristiano – come il ricco del Vangelo ricordato dalla liturgia domenicale – si compiace solo del suo benessere ignorando i tanti Lazzaro che gli chiedono un aiuto?
Il profeta Amos scrive “Guai agli spensierati di Sion” che “mangiano, bevono, cantano, si divertono e non si curano dei problemi degli altri”. Questa è gente, che sta sull’orlo di un abisso di disumanizzazione.
Se le cose, il denaro, la mondanità diventano centro della vita ci afferrano, ci possiedono e noi perdiamo la nostra stessa identità di uomini. Guardate bene: il ricco del Vangelo non ha nome, è semplicemente ‘un ricco’. Le cose, ciò che possiede sono il suo volto, non ne ha altri.
Questi esseri spersonalizzati, che si sono fatti rubare l’umanità dalle cose che possiedono, hanno un deficit comune, l’aver perso “la memoria di Dio”,
Se manca la memoria di Dio, tutto si appiattisce, tutto va sull’io, sul mio benessere. La vita, il mondo, gli altri, perdono la consistenza, non contano più nulla, tutto si riduce a una sola dimensione: l’avere.
Se perdiamo la memoria di Dio, anche noi stessi perdiamo consistenza, anche noi ci svuotiamo, perdiamo il nostro volto come il ricco del Vangelo! Chi corre dietro al nulla diventa lui stesso nullità – dice un altro grande profeta, Geremia. Noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, non a immagine e somiglianza delle cose, degli idoli!.
In questo contrasto di opposti, emerge ben delineata la figura del catechista, che altri non è che colui o colei che custodisce e alimenta la memoria di Dio”, facendosi guidare da essa e risvegliandola negli altri. Il suo modello, è Maria che dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo non pensa all’onore, al prestigio, ma parte per aiutare la cugina Elisabetta e levando il suo Magnificat fa memoria dell’agire di Dio avvenuto nella sua vita.
Il catechista è proprio un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà. Parlare e trasmettere tutto quello che Dio ha rivelato, cioè la dottrina nella sua totalità, senza tagliare né aggiungere.
Lo stesso Catechismo che cos’è se non memoria di Dio, memoria della sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino a noi in Cristo, presente nella sua Parola, nei Sacramenti, nella sua Chiesa, nel suo amore?.
Il catechista è uomo della memoria di Dio se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo;
se è uomo di fede, che si fida veramente di Dio e pone in Lui la sua sicurezza;
se è uomo di carità, di amore, che vede tutti come fratelli;
se è uomo di “hypomoné”, di pazienza, di perseveranza, che sa affrontare le difficoltà, le prove, gli insuccessi, con serenità e speranza nel Signore;
se è uomo mite, capace di comprensione e di misericordia”.
Non l’organizzazione, ma pace e gioia, sono segni della presenza di Dio nella Chiesa-Omelia di s Marta-30 settembre 2013
“I discepoli erano entusiasti, facevano programmi, progetti per il futuro sull’organizzazione della Chiesa nascente, discutevano su chi fosse il più grande e impedivano di fare il bene in nome di Gesù a quanti non appartenevano al loro gruppo. Ma Gesù li sorprende, spostando il centro della discussione dall’organizzazione ai bambini: “Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi – dice – questi è grande!”. Così, nella Lettura del profeta Zaccaria si parla dei segni della presenza di Dio: non “una bella organizzazione” né “un governo che vada avanti, tutto pulito e tutto perfetto”, ma gli anziani che siedono nelle piazze e i fanciulli che giocano. Il rischio è quello di scartare sia gli anziani che i bambini. E duro è il monito di Gesù verso chi scandalizza i più piccoli.
Il futuro di un popolo è proprio qui e qui, nei vecchi e nei bambini. Un popolo che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi bambini non ha futuro, perché non avrà memoria e non avrà promessa!
I vecchi e i bambini sono il futuro di un popolo! Quanto è comune lasciarli da parte, no? I bambini, tranquillizzarli con una caramella, con un gioco: ‘Fai, fai; Vai, vai’. E i vecchi non lasciarli parlare, fare a meno del loro consiglio: ‘Sono vecchi, poveretti’…”. I discepoli non capivano:, i discepoli volevano l’efficacia, volevano che la Chiesa andasse avanti senza problemi e questo può diventare una tentazione per la Chiesa: la Chiesa del funzionalismo! La Chiesa ben organizzata!
Tutto a posto, ma senza memoria e senza promessa! Questa Chiesa, così, non andrà: sarà la Chiesa della lotta per il potere, sarà la Chiesa delle gelosie fra i battezzati e tante altre cose che ci sono quando non c’è memoria e non c’è promessa.
Dunque, la vitalità della Chiesa non è data da documenti e riunioni per pianificare e far bene le cose: queste sono realtà necessarie, ma non sono il segno della presenza di Dio.
Il segno della presenza di Dio è questo, così disse il Signore: ‘Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. E le piazze della città formicoleranno di fanciulli e fanciulle che giocheranno sulle sue piazze’. Gioco ci fa pensare a gioia: è la gioia del Signore. E questi anziani, seduti col bastone in mano, tranquilli, ci fanno pensare alla pace. Pace e gioia: questa è l’aria della Chiesa!”.

(fonte: http://mauroleonardi.it/forum/bacheca-group2/la-bacheca-forum3/benvenuto-papa-francesco-thread67.50/#16872)

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