Indulgenza, penitenza e pandemia: 8 tesi


due figli

Quali sono le priorità con cui la Chiesa cattolica può e deve prendere la parola sulla centralità della riconciliazione e del perdono, nel particolare contesto così profondamente dalla pandemia? Che senso ha parlare di “indulgenze” in questo momento? Oltre a rinviare ad un post del marzo scorso, in cui precisavo le caratteristiche della “indulgenza” dopo Misercordiae vultus di papa Francesco, provo a rispondere in una serie di 8 brevi tesi:

1. La evoluzione del termine indulgenza ha subito con papa Francesco una accelerazione: nella Bolla di indizione del Giubileo del 2015-216 si usa il termine solo al singolare ed esso perde le caratteristiche “contabili” che gli hanno guadagnato, anche a giusto titolo, una fama non precisamente brillante.

2. Tuttavia, la caratteristica della “indulgenza” è di essere un “pesce” che può nuotare nell’acqua delle “pene temporali”. Qui, per evitare equivoci, bisogna spiegare bene la serietà del tema, almeno per come è stato pensato dalla tradizione medievale. Esso non riguarda il “perdono del peccato”, ma la “remissione della pena”.

3. A ben vedere, infatti, ogni assoluzione sacramentale, che abbia materia “circa quam”, ossia che sia giustificata dal peccato grave, inteso come rottura della comunione ecclesiale, implica, secondo la tradizione, il superamento della “pena eterna”, ma non quello della “pena temporale”. Che cosa significa questo linguaggio? Significa che il soggetto, che Dio ha già perdonato, deve rispondere nel tempo, con la sua libertà, alla grazia del perdono. Deve “lavorare su di sé”.

4. Questo “compito penitenziale” – ossia le “opere di penitenza” che attendono chi ha già ricevuto la grazia del perdono – implica un percorso di elaborazione con cui gli uomini e le donne rispondono con la loro vita alla vocazione all’amore e alla pace, che in Cristo hanno conosciuto e gustato. Comporta perciò una sofferenza di percorso e un doloroso apprendistato, pur scaturendo dalla gioia.

5. Solo a questo punto le indulgenze possono apparire all’orizzonte e prendere il loro senso. Esse sono l’atto festivo, straordinario e eccezionale, con cui la Chiesa, con la sua preghiera, prende su di sé le fatiche di questo cambiamento e le “rimette”, cancellandole, in toto o in parte. E questo avviene nel tempo o nello spazio. Per questo le indulgenze si collegano a “tempi particolari” (giubilei, anni santi…) o a luoghi particolari (santuari).

6. Il contesto di una grave epidemia, che è certo un tempo eccezionale, ha caratteristiche tali da non richiedere tanto una “festiva remissione delle pene temporali”, quanto piuttosto una “feriale consolazione delle sofferenze”. Si tratta di “assumere un dolore e orientarlo”, non di “rimettere una pena”.

7.  L’indulgenza ha senso per il soggetto che viva il compito del “fare penitenza”, da svolgere nel tempo, e che invece scopre misericordiosamente condonato e rimesso, in corrispondenza di una atto simbolico. Il sacramento della penitenza determina una condizione di “pena temporale” solo se sa tematizzarla esplicitamente. Se noi celebriamo la confessione e come “penitenza” riceviamo “10 Avemarie”, non possiamo comprendere in alcun modo il valore della “indulgenza” come remissione festiva di un compito che non c’è, non per nostra cattiva volontà, ma perché così è oggi per lo più la prassi ecclesiale; la stessa interpretazione della Penitenzieria Apostolica (emersa anche nella scorsa Quaresima) legge il sacramento della penitenza solo giuridicamente, come semplice unione di “confessione” e “assoluzione”, in tal modo erodendo il terreno su cui la indulgenza può prendere senso.

8. Rispetto alla Bolla Misericordiae Vultus del 2015, il Decreto della Penitenzieria Apostolica del marzo scorso – che rischia di essere utilizzato come modello anche nel “perdono di Assisi” del 1-2 agosto – costituisce una obiettiva involuzione nello stile e nel contenuto. La cosa è piuttosto evidente, poiché si torna a parlare con la terminologia di una “matematica delle remissioni”, che fatica non solo ad essere compresa, ma ancor più ad essere giustificata o giustificabile.

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