Equilibrio o egemonia


«Riunirsi in un mondo che si sta disgregando» è il capitolo finale de Il secolo della solitudine [tr.it. il Saggiatore 2021, ed.or. 2020] di Noreena Hertz, direttrice del Centre for International Business and Management dell’Università di Cambridge. «La crisi di solitudine odierna non è emersa dal nulla. È stata alimentata in misura notevole da un particolare progetto politico – il capitalismo neoliberista. Una forma di capitalismo egocentrica e egoistica che ha normalizzato l’indifferenza, ha fatto dell’egoismo una virtù e sminuito l’importanza della compassione e della cura», «ha negato il ruolo fondamentale che i servizi pubblici e le comunità locali hanno storicamente svolto nell’aiutare le persone a prosperare, e ha invece perpetuato la narrativa secondo cui il nostro destino è nelle nostre mani. Non è che prima non fossimo soli. È che ridefinendo le nostre relazioni come transazioni, assegnando ai cittadini il ruolo di consumatori e generando un divario sempre più ampio di redditi e ricchezze, quarant’anni di capitalismo neoliberista hanno, nel migliore dei casi, marginalizzato valori quali la solidarietà, la comunità, l’unità e la gentilezza. Nel peggiore dei casi, ha brutalmente calpestato questi valori. Dobbiamo adottare una nuova forma politica – una che ponga al centro la cura e la compassione» [p. 267]. «Persino Adam Smith, padre del capitalismo, pur se noto soprattutto come eloquente sostenitore del libero mercato e della libertà individuale, in Teoria dei sentimenti morali (il precursore di La ricchezza delle nazioni) scrisse ampiamente dell’importanza di empatia, comunità e pluralismo. Aveva capito che lo Stato deve svolgere un ruolo ben definito nel fornire l’infrastruttura della comunità – e che quando i mercati hanno bisogno di essere frenati, dovrebbero essere frenati» [p. 268]. «L’antidoto al secolo della solitudine, in fin dei conti, può essere solo l’esserci l’uno per l’altro, indipendentemente da chi sia l’altro» [p. 289].
Con Fra Cristoforo pensiamo: «Ecco un filo, un filo che la provvidenza mi mette nelle mani. E in quella casa medesima!» [I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, Hoepli 1998, p. 118].
«Gli avvocati della globalizzazione neoliberista hanno rielaborato l’immagine neoclassica della buona società “economica” divulgata da Milton Friedman e altri, e il “trionfalismo” dei conservatori post Guerra Fredda come Fukuyama. Il più importante è stato il supporto dato nel mondo ai regimi che hanno abbracciato la dottrina neo-liberale del libero mercato mantenendo il controllo politico nelle mani di minoranze (spesso brutali) come varianti del tema della poliarchia (ad es. Cina, Russia postsovietica, Arabia Saudita). Sull’altro versante, vi sono stati la condanna e l’intervento instancabile negli affari di società che hanno cercato di abbattere il regime dell’élite» [Stephen J. Rosow–Jim George, Globalization & Democracy, Rowman & Littlefield 2015, pp. 26-7].
«In termini politici il mantra neoliberista era piuttosto semplice, consistente in tre obiettivi politici fondamentali e universalmente attuabili – privatizzazione dei settori più importanti dell’economia (ad es. trasporti, miniere, telecomunicazioni, manifatture, salute e educazione) e delle imprese di pubblica proprietà, deregolamentazione del sistema economico e delle sue istituzioni-chiave (ad es. banche, relazioni industriali, mercati azionari) e in generale lo spostamento di leggi e abitudini verso il libero mercato a ogni livello della società». «Perciò negli anni 1980 la teoria e pratica neoliberista è divenuta dominante nell’economia politica globale. Di fatto, va precisato che la prima articolazione dei principi neoliberali, in pratica, fu in Cile nel 1973, quando la CIA aiutò il colpo di stato contro il presidente democraticamente eletto (Allende) a favore di un generale di destra (Pinochet), ritenuto giustamente ben più riconducibile alle dottrine neoliberali di Friedmann e della scuola di Chicago. L’oscuro lato antidemocratico del neoliberismo fu evidente ovunque in America Latina, specie nei regimi spesso brutali del Brasile e dell’Argentina. Negli anni 1980 tuttavia l’onda neoliberista fu più evidente al centro dell’anglosfera – UK di Margaret Thatcher (1979-1990) e USA di Reagan (1980-1988). Dominò l’agenda analitica e politica globale anche in Australia, Nuova Zelanda e Canada. E negli anni 1980 il neoliberismo egemonizzò le maggiori istituzioni dell’economia politica globale (ad es. FMI e Banca Mondiale), dove si abbandonarono le prospettive keynesiane e le originarie istituzioni regolative di Bretton Woods divennero i centri più potenti dell’agenda di libero mercato globalizzato. Comunemente nota come Washington Consensus […] emanante da FMI, Banca Mondiale e Dipartimento del Tesoro US, tutti con sede a Washington» [p. 37]. «Vi furono una massiccia espansione dei settori finanziari in tutto il mondo […] e una accelerazione del processo di globalizzazione economica, via via che in numero crescente le economie vennero integrate in un sistema di mercato globale di “turbo-capitalismo”. In questo processo, però, lo sviluppo finanziario osannato dai neoliberali è avvenuto largamente al di fuori delle economie “reali” nel mondo del trading elettronico delle valute, degli hedge-funds e dei “derivati”» [p. 38].
«Una migliore comprensione dei vincenti nel contesto neoliberista focalizza un’élite transnazionale o globale che, nei suoi vari spazi e posti, è capace di trarre vantaggio dalle condizioni sociali e politiche intrinseche alla democrazia neoliberista. La variante della narrativa democratica occidentale è allora utile non solo agli ideologi USA che invocano il “manifest destiny” come pietra angolare della leadership americana, ma anche a ognuno dei numerosi regimi al potere in Medio Oriente, Asia, Africa e Europa orientale, che possono facilmente manipolare con successo le promesse del libero mercato neoliberista a proprio (antidemocratico) vantaggio» [pp. 41-2]. «Si può forse capire meglio questo progetto di democrazia gestita in termini di poliarchia» [p. 43]: tipicamente, Trump e Putin.
«La concezione poliarchica della democrazia non riconosce il grande significato dell’uguaglianza economica come parte integrante della democrazia». «La definizione poliarchica di democrazia de-enfatizza le questioni di eguaglianza sociale e economica che sono intrinseche alle articolazioni classiche della democrazia della prima modernità, suggerendo invece che monopolizzare ricchezza e potere da parte di una minoranza è di fatto conforme con la democrazia – fin che esistono “libere ed eque” elezioni a intervalli regolari» [p. 44]. Sono «gli anni di Putin: riportare lo stato dentro, lasciando fuori la democrazia» [p. 109]. Vecchia storia, ricordata da Adriano Panatta nella vicenda del tennista Djokovic agli Austrialian Open 2022, con la battuta di Sordi ripresa dal sonetto Li sovrani der Monno vecchio del Belli: «C’era una vorta un Re cche ddar palazzo / mannò ffora a li popoli st’editto / “Io sò io e vvoi non zete un cazzo». Dopo l’invasione russa dell’Ucraina «si fa la mossa di prendersela con gli oligarchi, ma di fatto sono coinvolte poche centinaia di persone, senza un controllo sistematico e con molte scappatoie mentre bisognerebbe mirare alle decine di migliaia di patrimoni russi investiti nei circuiti finanziari e immobiliari occidentali». «Il problema è che il sistema legale e finanziario creato dall’Occidente in decenni mira anzitutto a proteggere i più ricchi, che l’hanno creato, a spese di tutti gli altri» [Thomas Piketty, «Affronter la guerre, repenser les sanctions», Le Monde, 13-14/3/2022, online]. Sovrani del Mondo nuovo prefigurato nel 1932 da Aldous Huxley e messo a punto nel 1958 con Ritorno al mondo nuovo.
«In agricoltura, sette società controllano la metà del commercio mondiale. Spesso con sede svizzera, comunicano poco e preferiscono di gran lunga l’oscurità. “Sono deliziate quando ci si interroga sulla finanziarizzazione delle materie prime”, nota Javier Blas [autore di The World for sale, Penguin Books 2021], “mentre la vera questione è la loro presa di potere”. La loro potenza è tale che a volte osano speculare sulla fame nel mondo, scrive nel suo libro» [Eric Albert, «Les matières premières, ‘dernier bastion du capitalisme sauvage’», Le Monde, 02/04/2022, online]. Con la Russia di Putin che invade l’Ucraina, la speculazione è sulla pace nel mondo.
Un problema fondamentale della storia politica moderna è equilibrio o egemonia.
Equilibrio o egemonia [tr.it. il Mulino 1988] è «un problema fondamentale della storia politica moderna», scriveva lo storico tedesco Ludwig Dehio nell’Europa distrutta del 1948. «Oggi pare a noi che il gran gioco, che nell’età moderna ha tenuto in moto l’Europa e alla fine il mondo, sia terminato. «L’antico sistema di stati civili composti di parti piccole fu completamente eclissato dalle giovani gigantesche potenze che esso aveva chiamato in suo soccorso, perché ora meno che mai poteva aiutarsi da sé» [p. 239]. «Ma l’antica tendenza europea al frazionamento viene ormai cacciata da parte dalla nuova tendenza mondiale alla unificazione. E questa, nella sua tempestosa avanzata, non avrà posa finché non si sia fatta valere in tutto il globo terrestre» [p. 240]. «Appena che l’ultimo temporale si è scaricato, se ne addensa una nuovo. Col restringersi dello spazio, in conseguenza della civilizzazione, procede il restringersi del tempo: ogni invenzione accelera il decorso» [p. 241]. Civilizzazione tecnologica, che nega «una sfera insopprimibile di autonomia del singolo nei confronti del potere statale», precisava nel 1988 Sergio Pistone nel presentare l’edizione italiana [p. 15].
«Abbiamo ricevuto una straordinaria educazione». «L’educazione europea […] è quando fucilano tuo padre, o quando tu stesso ammazzi qualcuno in nome di qualcosa di importante o quando crepi di fame o radi al suolo una città» [Romain Gary, Educazione europea, tr.it. Neri Pozza 2006, p. 256, ed.or. 1956]. Il Putin ‘europeo’ che, «suggerisce Boris Nemtsov, “crede che la Russia abbia bisogno di un’economia di mercato affluente, sfortunatamente non crede che la Russia abbia anche bisogno di democrazia”». «D’altra parte, può avere meno a che fare con le tendenze anti-democratiche della cultura russa in sé e più con la recente esperienza della sua varietà neoliberista. Certo questa è stata una delle tensioni della Russia del ventunesimo secolo, giocata nel confronto fra stato e contestatori in questi anni» [S.J. Rosow–J. George, cit., p. 42]. Come il Cile di Pinochet, gli USA di Trump, la Cina di Xi-Jinping, il Brasile di Bolsonaro, l’India di Modi, … l’Ungheria di Orbán, la Polonia del PiS.
Col nome d’arte Romain Gary, Romain Kacev, lituano di genitori russi e combattente francese nella seconda guerra mondiale, all’Europa affida un dialogo tra due partigiani. «Janek chiese a Dobranski: “Tu ami i russi, vero?” – “Amo tutti i popoli, ma nessuna nazione. Sono un patriota non un nazionalista” – “Che differenza c’è?” – “Il patriottismo è amare la propria gente; il nazionalismo è odiare gli altri. Russi, americani… Un grande sentimento di fraternità va maturando nel mondo, i tedeschi saranno serviti almeno a questo”» [Educazione europea, cit., p. 238]. «Questo» è l’UE, tanto più necessaria dopo l’invasione dell’Ucraina a conferma dell’ormai inderogabile necessità di effettivo governo democratico europeo eletto dal parlamento europeo e responsabile di fronte ad esso e a noi cittadini europei. È la modernità alla prova senza fine della storia, su cui riflette Leszek Kolakowski, nato a Radom in Polonia nel 1929 morto a Oxford nel 2009. «Non considero antiquata l’idea dell’Europa centrale come area culturale condivisa; oso credere che la rinascita di un tale spazio culturale, libero da dominazioni, sia possibile e desiderabile; anzi, può anche essere critica per il destino dell’Europa». E, constatiamo, per il destino del mondo spinto da Putin verso la terza guerra mondiale. «L’educazione alla democrazia è educazione alla dignità; e ciò presuppone due cose: la disponibilità a lottare, unita alla libertà dall’odio. La libertà dall’odio che si ottiene solo fuggendo dai conflitti è una virtù fittizia, come la castità degli eunuchi» [Modernity on endless trial, The University of Chicago Press, 1990, pp. 255 e 260].
La disponibilità a lottare unita alla libertà dall’odio è alla prova dell’odio nazionalista di Putin (e gli altri) per il patriottismo UE, mentre dall’Europa distrutta del 1948 Dehio ci ammonisce che «non un inceppamento della nostra fantasia, ma il suo allargamento dovrebbe fruttarci lo sguardo comparativo rivolto al passato: un affinamento del senso della nostra inderogabile responsabilità personale, non un ottundimento causato dal fantasma d’un determinismo regolato da leggi che ci esonererebbero dalla responsabilità. Le idee che le diverse scienze si fanno di un corso obbligato della storia umana sono pur tutte quante un efflusso della hybris dell’idea della civilizzazione: opporsi a quella vuol dire ravvivare la forza che è radice della nostra civiltà, la vita personale» [Dehio, cit., pp. 248-9]. Civiltà dei diritti umani, propria della democrazia, e per noi europei «il problema primo è se siamo ancora capaci di un patto giurato: l’unica cosa certa è che il pericolo realmente esiste e che solo dal pericolo, non dalle speculazioni astratte, esso può nascere» [Paolo Prodi, Homo Europaeus, il Mulino 2015, p. 228].
Patto giurato di democrazia negli Stati Uniti d’Europa in una «epoca di grandi sfide e contraddizioni, ma anche di speranza. Perché ora abbiamo una vera opportunità di riunirci e costruire un futuro completamente diverso» [Hertz, cit., p. 287]. «L’Europa dovrà rafforzare l’autonomia (a livello industriale e tecnologico) del suo mercato interno e ridurre le diseguaglianze sociali prodotte dalla precedente globalizzazione. Senza coesione sociale sarà difficile riformare» [Sergio Fabbrini, «Putin obbliga a ripensare la globalizzazione», Il Sole 24ORE, p. 8].
Non a caso la democrazia è nata in Europa.

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