Benedetto XIV, Francesco e la “doppia conforme”: chi è fuorviato e/o fuorviante?


BenedettoXIVPapa: arrivato chiesa centro Roma con mitria in mano

In una dei soliti giudizi sommari sul suo blog, il 30 gennaio scorso – “Il papa è  stato fuorviato” – Sandro Magister cavalca una legittima discussione storica proposta da Carlo Fantappié, ma lo fa per screditare la riforma che Papa Francesco ha proposto del “processo per l’accertamento della nullità matrimoniale”. Il papa, secondo questa ricostruzione  tendenziosa, sarebbe stato “fuorviato” nel suo giudizio sulla riforma con cui Benedetto XIV, nel 1741, introdusse la “doppia conforme” – la richiesta di due sentenze successive conformi sulla stessa causa – per assumere come definitivi giudizio sulla nullità del vincolo matrimoniale. Francesco ha ritenuto, nel 2015, che questo meccanismo di “certezza del diritto” appesantisse in modo eccessivo il procedimento e lo ha superato. Le reazioni a questa riforma – come in generale a tutta la riforma del processo di nullità – a dire dello stesso Francesco sono state forti ed hanno opposto innumerevoli resistenze. Magister ha così strumentalizzato una considerazione puramente storica e legittima, con cui il bravo C. Fantappié ha difeso le intenzioni di Benedetto XIV nel proporre quasi 300 anni fa la doppia conforme, ma in nessun modo questo può essere utilizzato per denigrare le intenzioni con cui Francesco ha superato quel regime e ha introdotto una prassi diversa. In materia di “procedura giudiziale” è legittimo cambiare opinione, visione e forma: nessun “diritto divino” è qui in gioco in modo diretto. Cerchiamo allora di comprendere meglio che cosa è  davvero “fuorviante”  e “fuorviato” in tutta questa discussione.

a) Se è vero che nel diritto la “forma” spesso è “sostanza”, non bisogna mai esagerare. Capisco bene che uno storico, come Fantappié, possa avere tutto l’interesse a ristabilire la verità storica su un atto del 1741. Ma lo storico sa bene come le decisioni autorevoli assunte quasi trecento anni prima debbano essere sottoposte ad una accurata revisione, indipendentemente dalla bontà delle intenzioni con cui furono assunte. E’ del tutto fuorviante citare, del prof. C. Fantappié, solo gli studi storici – anche quelli sulla “doppia conforme” – e dimenticare il recente studio Per un cambio di paradigma. Diritto canonico, teologia e riforme nella Chiesa (EDB, 2019)

b) Fuorviante è dimenticare che altro è considerare l’istituto della nullità nel 1741, altro nel 2015. Le mutate condizioni ecclesiali, culturali, personali e matrimoniali, la nascita del “matrimonio moderno” alla fine del XIX secolo e lo stesso magistero ecclesiale che si è personalizzato nel corso del XX secolo impongono una revisione accurata delle procedure con cui la Chiesa “si prende cura” delle vicende dei battezzati, anche nell’ambito della vita coniugale e familiare.

c) Fuorviante è dimenticare che lo stesso istituto della nullità, che di per sé è noto ad ogni ordinamento giuridico, ha subito una tale pressione da parte della realtà esistenziale ed ecclesiale, da essere diventato, letteralmente, un’altra cosa rispetto a quello che era 300 anni fa. E che, sotto la pressione della nuova realtà personale e matrimoniale, è stato di fatto piegato ad “usi”  – e non di rado ad “abusi” – che lo hanno reso estremamente problematico. La intenzione di renderlo più rapido, di ricondurne la autorità al vescovo e di assicurarne la prossimità e la economicità non sono semplicemente “fisime” di papa Francesco, ma urgenze pastorali del tutto serie, per far fronte a nuove realtà di vita.

d) Fuorviante è la mancanza di un dibattito dei canonisti stessi per cercare diverse soluzioni. E’ un segno dei tempi il fatto che, di fronte alla riforma di Francesco, molti canonisti o abbiano tentato di resistere o abbiano cercato di far finta di niente. Al canonista compete non solo una competenza “de iure condito”, ma anche una immaginazione “de iure condendo”. Su questo mi aspetterei coraggio, profezia, audacia, non solo resistenza e lamentale. Come se “toccare il sistema” volesse dire rovinarlo. Qui, nel mondo giuridico cattolico, riscontro un eccesso di passività verso il modello di “legge generale e astratta” che Napoleone ha insegnato all’Europa e sembra anche alla Chiesa, a partire dal Codice del 1917. Anche su questo C. Fantappié può essere una fonte preziosa per non essere fuorviati da giudizi infondati. Insieme al recentissimo volume di M. Neri, Fuori di sé. La Chiesa nello spazio pubblico (EDB 2020), che risulta illuminante proprio su questo intreccio tra diritto codificato e presenza ecclesiale.

e) Infine, ma dovremmo dire anzitutto, fuorviato e fuorviante non è anzitutto un giudizio su un papa del passato, ma la mancanza di senso della realtà. Il vincolo matrimoniale ha una storia, che l’istituto della nullità non riesce a considerare. Per valutarla, con tutta la saggezza, la prudenza e la cautela necessaria, non è possibile esaminare soltanto le virtù e i vizi del consenso originario. Il modello di pensiero che ha strutturato lo sviluppo del “processo di nullità” è viziato da un modo di pensare l’uomo e la donna che non risponde più, da almeno due secoli, a ciò che uomo e donna sono e sono diventati. Non solo i tempi sterminati di durata dei processi, non solo le spese esorbitanti, sono perciò il problema: in gioco vi è la fedeltà a ciò che uomo e donna vivono nella esperienza matrimoniale, nelle sue gioie e nei suoi dolori. Le loro storie, sempre complesse e diverse, entrano nelle categorie predisposte dalla tradizione medievale e moderna della nullità, solo al prezzo, ormai non più sopportabile, di crescenti finzioni e mistificazioni. Fuorviante e fuorviato è un sistema giuridico che non riesce a onorare le storie di vita, ma afferma solo se stesso. E lo fa in latino, forse per pudore. O forse perché solo una lingua non più viva può sopportare questa pratica fuorviata e fuorviante.  

f) Solo un cambio di paradigma, in questo campo, non sarà fuorviante e non risulterà fuorviato. Un grande dibattito, che abbia i canonisti come soggetti e non solo come “vittime”, deve progettare un “diritto canonico” – non solo sul piano procedurale, ma anche su quello sostanziale – che non si chiuda in una torre d’avorio in cui, anziché onorare la realtà complessa, si inventano irrealtà, senza rapporto con la vita di peccato e di grazia effettivamente vissuta dagli uomini e dalle donne.

 

 

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