Amoris Laetitia, le parole e il silenzio(/2): risposta di G. Meiattini, con postilla


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Come già è accaduto in altri casi, alla mia lettera e ai miei interrogativi (pubblicati sul post precedente) Giulio Meiattini ha inviato la sua risposta, che qui pubblico volentieri. Poiché nella sua riposta egli formula, a sua volta, alcune domande, aggiungo in calce alcune righe, come postilla, cercando solo di indicare la via di una diversa parola possibile.

Caro Andrea,

ti ringrazio della tua rinnovata attenzione. Potrai capire che su molti punti avrei puntualizzazioni da fare. Mi limito però solo a qualche domanda a partire da una delle tue domande. Tu mi chiedi, fra l’altro: «Pensi davvero che le “aperture sui divorziati risposati” volute da AL siano l’inizio del “piano inclinato” che travolgerà tutto e tutti, solo perché separerebbe per la prima volta esercizio della sessualità e istituzione matrimoniale?». Chi legge il mio contributo ha già capito cosa penso in merito e dunque non sto a ripetermi.

Ma da queste tue parole sono io a non capire se tu ritieni che AL abbia suggerito o affermato davvero “per la prima volta” tale separazione fra esercizio della sessualità e matrimonio oppure no. E cosa pensi tu di una loro eventuale separazione? Perché ovviamente dalla risposta a questa domanda cruciale dipende, mi sembra, anche il significato nuovo o diverso, come dici tu, che potrebbero assumere le parole “adulterio” e “omosessualità” in una “società aperta”.

In ogni caso sono ben disposto ad apprendere, come tu li chiami, i nuovi significati di questi due termini, proprio perché vorrei capire bene e in modo esplicito quali essi siano effettivamente. Resto in attesa di chiarimenti, poiché il silenzio su queste due parole, sul quale ho richiamato l’attenzione, è innegabile e impedisce chiaramente proprio di capire quale sia la loro nuova semantica e la diversa e “più complessa” valutazione che secondo te meriterebbero queste realtà. E’ evidente che se invece di ridefinire le parole si smette di adoperarle, è un po’ difficile capire il loro presunto e nuovo contenuto. In compenso, al silenzio verbale corrisponde una fervida attività pratica!

Tu mi domandi ancora: “Ma tu sei proprio sicuro che, continuando ad usare quelle parole, proprio come fai tu, si riesca davvero a parlare della realtà umana ed ecclesiale, antropologica e teologica, che abbiamo davanti a noi e nella quale viviamo?”. E io chiedo ancora una volta: quale sarebbe il modo giusto, nuovo e diverso “dal mio” (ma che non io ho inventato!), di intendere queste parole?

Intendi forse dire che una relazione omosessuale a determinate condizioni è conforme a un’antropologia cristiana? O che due persone dello stesso sesso possano instaurare una convivenza buona e santificante, anche se “non equiparabile al matrimonio”? Oppure che la considerazione dell’adulterio non come “reato permanente” ma come “reato istantaneo” (che alcuni suggeriscono, ma che fino ad ora non trovo recepita da parte dell’insegnamento magisteriale) potrebbe rendere alla fine pienamente legittime altre unioni dopo l’unica sacramentale?

Se la tua risposta a queste domande è affermativa, allora non dovrebbe allarmarti se io riconosco nell’attuale corso proprio il tentativo di legittimare queste idee, visto che tu le condividi. Come teologo dovrebbe preoccuparti, semmai, il fatto che questa legittimazione non avviene attraverso una discussione aperta e teologicamente fondata, ma ricorrendo a metodi indiretti, alla strategia del silenzio che ho segnalato. A dire il vero mi sembra che anche tu in fondo resti “in silenzio” rispetto alla domanda che il mio scritto pone, visto che consideri il mio modo di usare queste parole come superato, ma non dici in quale altro modo “positivo” dobbiamo comprenderle in una “società aperta”. Che adulterio e relazioni omosessuali non siano “solo peccati” lo capisco bene, ma mi sembra che quello che non si dice più è che sono e rimangono “ancora peccati”. Sai, ci sono persone che sostengono che in una Open Society anche la pedofilia possa essere permessa.

Insomma, vedo molte domande e suggestioni nella tua lettera, ma mi manca una explicatio terminorum. Nel frattempo prassi e gesti contrastanti si affermano nella Chiesa senza essere verbalizzati e chiariti, ma riducendo la questione (come fa il card. Cupich da me citato) a semplice discrezionalità “politica”. Come ho detto e scritto altre volte, non basta avviare processi, nei fatti: bisogna anche comprenderne il senso e il significato e sapere verso quale mèta portino o intendano portare.

Infine lascio agli storici del pensiero (non solo cristiano), del costume e della spiritualità di valutare la tua asserzione piuttosto drastica: «la “sessualità” stessa è non solo una parola nuova, ma una esperienza nuova, di cui la tradizione è del tutto priva prima del XIX secolo». Non trovi questa affermazione, appunto, molto dipendente dal XIX secolo?

Un fraterno saluto.

d. Giulio Meiattini osb

 

Postilla di risposta

Caro Don Giulio,

alle questioni che a tua volta sollevi posso rispondere solo per cenni, rimandando ad altri testi nei quali sono stato già molto più esplicito. Sulla separazione tra sessualità e matrimonio, questa non è solo e anzitutto una “dottrina ecclesiale”, ma è un “fatto”. La dottrina che pensa il matrimonio come “unico ambito di esercizio della sessualità” guarda alla realtà umana nella sua dimensione di pienezza escatologica. Storicamente, questo, deve essere considerato come un “ideale”, che però non deve essere idealizzato, senza correre i rischi di cadere in una “aggressione” della realtà.  Così anche tutta la riflessione civile e canonica sulla “sanzione” potrebbe essere utile, a tutti noi, per considerare quanto progresso possa fare la dottrina teologica sull’adulterio, purché non ritenga di poter pensare solo “de lege condita” e di vedersi impedita, quasi per principio, ogni riflessione “de lege condenda”. Nessuno dice che l’adulterio non sia un peccato, almeno tra i teologi. Qualcuno (come Mons. Vesco) propone invece di ripensare il modo di pensare la “sanzione” di questo peccato. Questo non solo è possibile, ma doveroso. A meno che tu non ritenga che si neghi il peccato di omicidio solo perché si è superata la pena di morte – persino correggendo il Catechismo! A questa esagerazione mi sembra far pensare la tua battuta su di un presunto rapporto tra “società aperta” e “giustificazione della pedofilia”, che mi pare del tutto fuori posto, perché sembra dimostrare una totale indisponibilità a considerare seriamente i “segni dei tempi”. Inoltre, per quanto riguarda la “nascita della sessualità” – che è una delle ragioni fondamentali della tensione tra matrimonio ed atto sessuale – non credo che si debbano aspettare gli storici e che si possano ignorare i testi di Luhmann, Foucault e Giddens e tanti altri, per discutere sul fondamento di quanto ho affermato. Penso che non possa essere accusato di “restare in silenzio” solo chi esula dalle proprie bibliografie e usa altre fonti. In altri termini, senza una adeguata comprensione antropologica, sociologica e culturale del cambiamento del ruolo del sesso nella definizione della identità personale avvenuto nel XIX e XX secolo, credo che tutto il discorso cristiano su matrimonio ed etica sessuale rischi di diventare un “flatus vocis”. Infine, tu mi chiedi, un poco scandalizzato, se io ritenga che una diversa concezione dell’adulterio possa considerare legittime unioni ulteriori rispetto all’unica sacramentale. Io ti rispondo di restare un poco scandalizzato dal tuo scandalo: perché la teologia non deve argomentare sulla eventuale possibilità di ciò che già è reale. Deve invece darsi le categorie idonee a riconoscere la realtà di “nuovi inizi”, che mettono in crisi le nozioni classiche, le quali non riescono più a servire il vangelo. Quella che tu consideri come la pericolosa confusione del magistero di Francesco io la ritengo una preziosa profezia ecclesiale, già inaugurata dai testi del Vaticano II.  Ma anche questa differenza, almeno in spe, non mi pare insuperabile.

 

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