Alla Chiesa italiana scrivi: non ti manchi il coraggio (di Marinella Perroni e Andrea Grillo)


 

 

 

 

 

 

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Ieri mattina, 29 maggio, a Vicenza, nell’ambito del Festival Biblico, insieme con Marinella Perroni, e sotto la moderazione di G. Caramore, abbiamo letto e commentato la “lettera alla Chiesa italiana” che qui riportiamo nel suo testo integrale. 

 

FESTIVAL BIBLICO 2022

Vicenza, 29 maggio

Quello che vedi,

scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese …

Il senso nascosto delle sette stelle,

che hai visto nella mia destra,

e dei sette candelabri d’oro è questo:

le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese,

e i sette candelabri sono le sette Chiese” (Ap 1,1.20)

 

ALLA CHIESA ITALIANA SCRIVI ….

Andrea Grillo e Marinella Perroni

 Che cosa significa e che cosa comporta, allora, anche per noi oggi esercitare la profezia in forza del battesimo, guardare alla realtà della nostra chiesa italiana che ha intrapreso il cammino sinodale e immaginare, sulla falsariga delle sette lettere alle sette chiese dell’Apocalisse, di indirizzarle una lettera che la richiami al coraggio della testimonianza?

Non ti manchi il coraggio.

Se guardi al futuro, e lo fai come Chiesa, devi avere coraggio. Un coraggio che non è prima di tutto forza di negazione. Il coraggio di negare non sempre è coraggio. Spesso è paura mascherata da coraggio. Guardare avanti con coraggio e senza paura vuol dire entrare nel gioco di luci dei segni dei tempi. Ospitare nel reale le cose nuove e mediante esse rileggere la tradizione in modo più ricco, più completo, più profondo. I tempi mandano segni a te, in quanto comunità di uomini e donne rigenerati dalla morte e dalla vita, dal dolore e dalla gioia. E i segni parlano nuovi linguaggi, che tu sei in grado di imparare, ma solo se avrai coraggio, se non ti lascerai paralizzare dalla paura.

Sei nata, come tutte le altre chiese nazionali, nei giorni del Concilio. I giorni della primavera, i giorni in cui, caduto finalmente l’interdetto, anche tu hai richiamato la Bibbia da quell’esilio a cui l’aveva costretta una secolare guerra di religione tra fratelli. E la Parola ha ripreso a risuonare al cuore delle nostre liturgie, nella vita delle nostre comunità e nella vita di ciascuno di noi. Perché, lentamente, hai di nuovo spinto fuori dalla tua vita quella Scrittura da cui ogni ecclesialità prende vita e forza, da cui nessuna predicazione e nessuna catechesi possono prescindere? Perché preferisci cedere al fascino di antiche superstizioni?

Ricorda i giorni in cui sei nata e riprendi con coraggio la strada: lampada per i tuoi passi e luce sul tuo cammino potrà essere solo la sua Parola (cfr. Sal 119,105). E torneranno i giorni della primavera e dell’entusiasmo.

Così infatti dice il Signore: «Invece di spini cresceranno cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; ciò sarà a gloria del Signore, un segno eterno che non sarà distrutto» (Is 55,13).

Mentre riaprivi le orecchie e gli occhi sui tesori che la parola poteva assicurarti, tornavi lentamente all’antica arte del celebrare. Riconoscevi, di nuovo, che è il Signore con la sua Chiesa il centro della liturgia. Che tutti celebrano insieme al Signore Gesù. E che il Vescovo e il prete sono solo coloro che presiedono un atto di tutti, nessuno escluso. Hai saputo ritrovare, nella liturgia, la forma del ministero diffuso e del movimento di popolo. Il coraggio di questo ricordo vivo e fresco deve frenare tutte quelle paure che sanno solo correre indietro, vivere di nostalgia per il passato, di insofferenza verso il futuro, di sufficienza verso il presente. La liturgia comincia dal tatto: tu, come Chiesa, ricordati che tocchi le vite di uomini e donne concreti e ti fai toccare dalle loro vite anzitutto nel rito eucaristico.

Ascolta, prima di parlare, e le tue parole torneranno a essere autorevoli. Ma impara che l’ascolto non è un atto paternalistico, non tradisce condiscendente sufficienza, ma pretende autentico riconoscimento e profondo rispetto. L’ascolto è esigente, chiede attento discernimento e risoluta volontà di cambiamento. Non è forse proprio questa la strada per lasciarsi dietro le spalle l’epoca del clericalismo? Non è forse questa la prima, grande riforma di cui anche la nostra chiesa, come tutte le altre chiese, ha enorme bisogno? Generazioni di adulti che hanno creduto nel Concilio, generazioni di donne per le quali fede e consapevolezza di sé maturano al cuore l’una dell’altra, generazioni di giovani che non accettano di restare orfani di Dio ancora sperano che tu sia capace di aprire spazi di confronto. Perché non hai paura di cambiare.

Con grande coraggio puoi disporti a scoprire il sesso come sessualità. Ossia ad uscire da una lettura riduttiva della relazione sessuale, orientata solo alla generazione. Qui devi combattere con molti pregiudizi, che hanno preteso di identificarTi come il baluardo contro ogni libertà. La rigida chiusura del sesso nell’ambito del matrimonio non è più soltanto “ordinamento sociale”, ma incapacità di percezione. Le forme della relazione sessuale, che trovano il loro compimento nel matrimonio, esistono anche fuori di esso e non sono semplicemente un male. Il processo che porta le persone alla vita fraterna di coniugi esigono rispetto e pazienza, accompagnamento e pochi formalismi. Se di burocrazia ferisci, di burocrazia perirai. Potresti invece trovare la autorità di riconoscere la comunione che c’è, piuttosto che quella di distribuire autorizzazioni a destra e a manca, ma senza autorità.

Hai sempre pensato che gli scismi e le scomuniche sono quelli che si consumano tra i capi delle chiese. E spesso è stato così. Ora, però, non più. E lo scisma silenzioso delle donne e dei giovani rende le nostre comunità esangui. È vero: una chiesa che difende strenuamente la gerarchia dei sessi, non ce la fa ad accettare la forza delle donne; e per una chiesa patriarcale quella dei giovani è una lingua incomprensibile. Eppure, proprio questo per te può diventare il tempo della fiducia: dai fiducia alle istanze delle donne: non sono pericolose, sono vitali; dai fiducia all’inquietudine dei giovani: è seme che marcisce nella terra e darà il suo frutto al tempo opportuno. Non permettere che se ne vadano e, se decideranno lo stesso di andare, almeno dà loro la parte di eredità che gli spetta.

Hai da imparare un nuovo linguaggio, quello del tempo relazionale e dello spazio sociale. Siamo entrati ormai, da più di un secolo, in un “tempo tutto omogeneo” che ci permette molto, ma ci leva altrettanto. Tempo omogeneo e tempo irreversibile non lasciano spazio alla festa. Tutto nel tempo può essere diverso, tutto uguale, tutto libero o tutto vincolato, ma solo la festa dischiude il fratello, svela la sorella. Fraternità, sororità e tempo festivo si corrispondono. Sei chiesa e per questo madre e maestra di fraternità e sororità. Insegnare lo spazio e il tempo di vera fraternità/sororità: a questo oggi i discepoli di Cristo potrebbero lavorare in Italia con una nuova e sorprendente capacità culturale. Trova il coraggio di fare cultura, di uscire dalla nicchia, di navigare in mare aperto. Imparando a fondo proprio nel momento in cui insegni davvero. Non è altro, in fondo, che il tuo coraggio di essere Chiesa.

Non ti manchi il coraggio, chiesa che vivi il vangelo in Italia. Dopo Gerusalemme e Antiochia, Roma è stata la terza chiesa-madre della cristianità. Ricordalo, chiesa italiana. Non per inseguire antichi fasti imperiali, né per proporti come modello per tutte le chiese: ogni chiesa ha la sua storia, percorre la sua strada, vive e con-vive in uno degli angoli del mondo. Piuttosto, ascolta l’invito di Papa Francesco: ricorda il tuo passato per essere «una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti» (Firenze, 10 novembre 2015).

Che i tuoi duemila anni di storia ti rendano sapiente, non vecchia, prudente nel movimento, non nella stasi:

«Poiché così mi ha detto il Signore: “Va’, metti una sentinella che annunci quanto vede”. […] “Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?”.

La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!”» (Is 2,6.12).

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